Note critiche

Enrico Serpagli si presenta con un nuovo capitolo della sua ricerca fotografica dedicata ad un luogo particolare della Val Badia, il nuovo piazzale della chiesa di Corvara, che lo ha colpito per la presenza di un’architettura singolare, una barriera visiva in metallo che circonda la piazza, che rimanda all’immagine del muro e all’idea di limite. Guardandolo da vicino però, il muro non è uniforme, presenta delle piccole feritoie decorative che sembrano tante finestrelle affacciate sul paesaggio circostante.

La percezione della realtà dipende molto dallo sguardo che adottiamo verso le cose, consentendoci di vedere anche oltre il limite, che sia naturale o imposto dalla leggi dell’uomo. La nuova serie di fotografie di Enrico Serpagli intitolata Behind the scenery indaga proprio i confini dello sguardo, il vedere oltre le frontiere reali o mentali, aprire gli occhi non solo sul mondo conosciuto ma anche sulle realtà minimali, su quegli interstizi poco visibili che abitano accanto a noi nell’invisibilità del silenzio.

La fotografia porta all’attenzione dello spettatore il carattere enigmatico della realtà ponendo sotto la lente d’ingrandimento della visione sia l’apparire delle cose che la loro natura interiore… Ed è quello che accade con le fotografie della serie Behind the scenery: guardando le immagini al primo istante, direttamente, vediamo un muro grigio ossidato dal tempo che satura tutto lo spazio dell’immagine creando un effetto d’invisibilità.

Subito dopo il primo colpo d’occhio, l’attenzione cade sui piccoli particolari presenti sul muro, che appaiono come se fossero dei frammenti di colore diverso messi lì senza nessun motivo apparente, creando un mosaico indecifrabile di tessere sullo scenario retrostante – il paesaggio alpino attorno alla piazza, con le sue case e gli arredi urbani.

Le aperture, che infrangono la cortina d’invisibilità e l’estetica del limite, sono sottili squarci su un mondo al di là del muro che ci è dato scoprire grazie all’intuizione di Enrico Serpagli di riconoscere in questi elementi visivi tanti piccoli obiettivi puntati sull’inconoscibile… Cosa ci è dato scoprire attraverso questi obiettivi inconsapevoli, che l’artista ha voluto portare alla nostra attenzione? Dettagli di case e di prati verdi, porzioni irriconoscibili di automobili, e altri elementi impercettibili che abitano i nostri spazi quotidiani.

Non è importante cosa siamo in grado di riconoscere dell’immagine retrostante la cortina; ciò che ha valore è l’occasione, che ci è stata data dall’artista, di andare con lo sguardo oltre la luce della piena visibilità delle cose, di guardare oltre i confini dell’apparenza, di scoprire anche quello che resta di solito nella soglia tra visibile e invisibile…

In Behind the scenery, come del resto in Paesaggi invisibili (2012), il rapporto tra presenza e assenza diventa il fulcro centrale della fotografia di Enrico Serpagli, che in questo caso accoglie anche un ulteriore riflessione sulla notevole presenza nella nostra epoca di muri reali o immaginari. Barriere che possono diventare anche deposito del tempo e della vita dell’uomo.

È lo sguardo di Enrico Serpagli a far uscire dall’anonimato anche la più piccola, invisibile presenza… Una poetica della visione fuori dal coro, che riporta l’attenzione all’anima delle piccole cose e alla nostra relazione con loro.

(Marinella Paderni, da “Lo sguardo oltre il visibile”. Saggio critico a “Behind the scenery”, 2016)

Geometrie indecifrabili e figure biomorfe, colature, graffi e cancellazioni che si stratificano nello spazio formando una sorta di calligrafia del tempo, astrazioni assolute di colore in cui la forma svanisce per lasciare respiro alla potenza di un monocromo… Tante sono le sensazioni, le associazioni e le immagini mentali che sorgono spontanee guardando le fotografie di Enrico “Giulio” Serpagli, come se ci trovassimo davanti ad una lingua misteriosa, sconosciuta, tutta da svelare e di cui non s’intuisce il cifrario al primo sguardo…

Più che essere rappresentazioni del reale, le sue opere rendono visibile l’invisibilità del paesaggio contemporaneo. Nello scatto fotografico Serpagli eternizza un evento appena prima che si trasformi in attimo fuggente, che svanisca irrimediabilmente nel nulla smarrendo ogni traccia, ogni ricordo… Il carattere d’inconoscibilità del reale è ciò che cattura lo sguardo di Enrico “Giulio” Serpagli e di cui vuole rendere partecipe lo spettatore… Tramite l’astrazione di un frammento di realtà dal suo contesto di riferimento, Serpagli offre questa possibilità – vedere la spiritualità più segreta e invisibile del mondo…

Non è importante conoscere il soggetto originario di queste fotografie, quanto lo è invece scoprire le sue potenzialità espressive che esistono al di là di quelle già evidenti… L’attenzione al dettaglio, isolarlo dal rumore di fondo, estraniarlo dall’illeggibilità causata sempre più dal troppo pieno del paesaggio contemporaneo, è una pratica di straniazione che nasce dalla necessità di creare una fessura nel flusso ininterrotto delle cose – una différence – da cui poter vedere finalmente l’immagine-tempo dell’esistente… Se il paesaggio contemporaneo è la scena di questo suo sguardo, la ricerca dell’anima dei luoghi è il significato del suo agire…

Ogni sua fotografia è il condensato delle sensazioni emanate da un particolare luogo, è la scheggia che incrina la superficie dello sguardo e mette lo spettatore a contatto con l’intima natura dei luoghi, collegando il fuori con il dentro. Questo cambiamento del punto di vista squarcia il nascosto mostrando la verità che è dentro le cose… L’incontro con il fortuito, il caso, l’effimero è l’altro fondamento del lavoro di Enrico “Giulio” Serpagli. La casualità di uno scatto rivelerà a distanza più di quanto lo sguardo abbia colto prima davanti all’obiettivo. La scoperta di un particolare che si differenzia rispetto al tutto, di un dettaglio che racconta molto di più della visione d’insieme, nasce da una sorta di “erranza” dell’artista che, viaggiando nel paesaggio, individua l’emergere di accadimenti puri, fluttuanti, indefinibili, e di un ordine di realtà del mondo che vive sotto la soglia del conosciuto, del certo…

La sua è una pratica dello sguardo che coincide con una sorta di nomadismo urbano, il camminare nel paesaggio senza una meta precisa, se non quella di perdersi nell’anima dei luoghi e incontrare “forme singolari” nella loro unicità. È infatti nella fatalità del viaggio, nell’incontro casuale, e successivamente nella distanza, che nasce l’opera d’arte. L’erranza diventa allora per l’artista una pratica di avvicinamento all’anima del mondo che porta all’esplorazione del reale e dell’irreale, dell’immaginario e del simbolico, del ludico e dell’onirico.

(Marinella Paderni, da “L’invisibilità delle piccole cose”, 2012. Presentazione ai “Paesaggi invisibili”, 2016)

Enrico Serpagli non fugge, ricerca. Il suo sguardo non è mosso dal rifiuto del presente, è stimolato da quella ratio tanto a lungo praticata nella sua attività scientifica. Di fronte all’apparente deriva di forme e di colori si comincia ad avvertire la presenza di un senso dotato di un proprio indirizzo. Questo va cercato nella forma mentis del paleontologo, ovvero in chi è impegnato a comprendere e a ricostruire la vita del passato contenuta nelle rocce. Non ha importanza la grandezza del reperto… Quello che conta sono le informazioni contenute in esso, utili per collocarlo nell’albero della vita e nel tempo…

Le fotografie sono come reperti fossili che Serpagli ha a lungo cercato con lo sguardo e raccolto con uno scatto. Lo stesso metodo di registrazione è pressoché equivalente. In entrambi i casi, il paleontologo e il fotografo, hanno un approccio visivo frontale a discapito di ogni suggestione prospettica. L’assenza di profondità esclude ogni intento rappresentativo a favore del prelievo del “corpo” percepito. Una tecnica che rinuncia all’atmosfera narrativa, alla condivisione dei diversi piani psicologici del racconto ed esibisce direttamente una fetta di mondo…

Certo, nell’arte di Serpagli le indicazioni hanno un valore indicativo e non ambiscono alla puntualità dello scatto, né alla definizione topografica dell’inquadratura. In questo si discosta dall’esattezza scientifica per concentrarsi in quel senso dell’ordine presente non solo nei reperti fossili o nelle sequenze stratigrafiche… Quello che si avverte è una struttura animata da una forza interna che non si trova ovunque. Bisogna saperla cogliere. Il suo rivelarsi dipende dal grado di recettività dello sguardo, dalla sensibilità maturata pronta ad accogliere la rivelazione estetica. Una cultura che va oltre gli studi di paleontologia e le sue indagini in laboratorio per attraversare il campo dell’arte nelle sue diverse declinazioni pittoriche. Basta scorrere le foto per cogliere gli stilemi di Joan Miró, Mark Rothko, Piet Mondrian, Sam Francis e così via per la galleria delle avanguardie. Una cultura visiva che non si limita alla pittura e ai suoi protagonisti. Nelle fotografie di Serpagli vi è la ricerca di un ordine che sorge dalla sintesi delle discipline scientifiche ed artistiche. Il risultato è affatto estetico…

Ogni foto è una tessera che forma parte di una composizione in divenire. Non c’è una cornice o un centro tematico. L’inizio e la fine si equivalgono perché il racconto si dà nel divenire delle immagini… Ogni scatto riuscito si va ad aggiungere in modo organico agli altri, confermando così la presenza di un disegno globale. Non si tratta di un accumulo arbitrario, di una somma votata alla quantità, bensì di una rete estetica le cui diverse letture sono pari alle molteplici interpretazioni del Testo. Serpagli non si interroga sull’Autore, tuttavia, nel verificare un senso dell’ordine, ne riconosce la presenza.

(Daniele Astrologo, dalla “Presentazione” a “Il senso dell’ordine”, 2008)

La lezione più importante che testimoniano le foto di Serpagli è senza dubbio l’informale; ma è quell’informale che si spinge fino ai giorni nostri. Ciò non vuol dire che tali immagini debbano essere viste come una versione aggiornata del pittorialismo dato che l’informale è diventato ormai un elemento non eliminabile della nostra cultura visiva.

(Franco Vaccari, dalla Introduzione alla mostra “I colori della materia”, 30 gennaio 1999)

Serpagli ci accompagna all’interno di un mondo misterioso fatto di magia e delicatezza, un mondo fatto di cose che abbiamo sotto gli occhi ma non vediamo perché non sappiamo o non vogliamo vedere.

(Beppe Zagaglia, Il Resto del Carlino, 1 febbraio 1999)

Enrico “Giulio” Serpagli ha la capacità di trasformare elementi ordinari in visioni curiosamente astratte e farle così appartenere ad una “sensazione di ordine”. L’impressione iniziale, ancora prima di avvicinarmi alle fotografie, è stata quella di vedere appesi alle pareti quadri di Mirò, Fontana, Carrà o Kandinsky. Quando invece mi sono trovato di fronte ai suoi scatti, carpiti da materiali usuali, semplici e introversi, ho scoperto la sua genialità che mi ha svelato, attraverso la sua visione inconscia, la realtà oggettiva delle cose. Che sia una sorta di fotografia “metafisica”?

(Gigi Cavalli, ESVASO, 21 settembre 2009)

Serpagli cerca non effetti particolari, ma la qualità rara di colore e di segno che ogni cosa riesce a rivelare, ricomponendo in una unità ideale di espressione e di senso i diversi frammenti. È l’occhio del ricercatore abituato a scoprire e a registrare l’immagine non iconologicamente ovvia, ma energicamente essenziale, che abbia un’aria di famiglia con l’essenzialità della scienza.

(Michele Fuoco, La Gazzetta di Modena, 8 febbraio 1999)